Importante intervista della nostra Presidente Giuliana Ruggieri. Per essere credibili bisogna usare la ragione rettamente illuminata e formata….

L’intervista pubblicata l’altro giorno al dott. Cicero G. Coimbra (qui) sulla questione della “morte cerebrale”, e di quella connessa ai trapianti di organi, ha suscitato molta eco mediatica. Molti commenti hanno condiviso le preoccupazioni del dott. Coimbra. Alcuni, però, provenienti soprattutto da specialisti del settore medico, hanno espresso forti riserve. Molto critica è la posizione della dott.ssa Giuliana Ruggieri, chirurgo dei trapianti di reni, nonché presidente dell’Osservatorio di bioetica di Siena (qui e qui).

La dott.ssa Ruggieri, già nota su questo blog (vedi quiqui e qui), ci ha inviato l’articolo che segue, e che merita sicuramente una lettura molto attenta.

di Giuliana Ruggieri

Prima di entrare nel merito tecnico del concetto di “morte cerebrale”, vorrei in maniera assiomatica ricordare che non siamo padroni né della vita né della morte.

La morte da sempre fa emergere le contraddizioni che ci costituiscono.

Benedetto XVI descrive bene questo concetto  in Spe Salvi: “da una parte, non vogliamo morire; soprattutto chi ci ama non vuole che moriamo. Dall’altra, tuttavia, non desideriamo neppure di continuare ad esistere illimitatamente e anche la terra non è stata creata con questa prospettiva. Allora, che cosa vogliamo veramente? Questo paradosso del nostro stesso atteggiamento suscita una domanda più profonda: che cosa è, in realtà, la «vita»? E che cosa significa veramente «eternità»?……….”

E’  vero che l’eliminazione della morte o anche il suo rimando quasi illimitato metterebbe la terra e l’umanità in una condizione impossibile e non renderebbe neanche al singolo stesso un beneficio. Ovviamente c’è una contraddizione nel nostro atteggiamento, che rimanda ad una contraddittorietà interiore della nostra stessa esistenza.

Sant’Agostino scrive: «C’è dunque in noi una, per così dire, dotta ignoranza» (docta ignorantia). Non sappiamo che cosa vorremmo veramente; non conosciamo questa «vera vita»; e tuttavia sappiamo, che deve esistere un qualcosa che noi non conosciamo e verso il quale ci sentiamo spinti.

Di fronte alla morte, ci può essere il rischio di onnipotenza, “fare e disfare” l’uomo a proprio piacimento. Un’amica, però, riportando il dialogo avvenuto tra suo figlio e il Cardinale Caffarra, osserva: “l’accanirsi a tenere in vita una persona può essere ideologico quanto l’eutanasia. Perché sottintende un pensiero onnipotente che l’uomo possa tutto con la tecnica. Mentre la morte è il limite che ci deve sempre ricordare che non siamo onnipotenti e che essa è la porta da attraversare per arrivare alla vita vera. Quindi c’è un momento in cui il corpo nella sua dimensione naturale ci dice di lasciarlo andare, di permettere che il percorso si compia”.

Questa è la saggezza umana e cristiana.

Inoltre, è vero che chiunque pretendesse di volere solo dalla medicina una definizione di morte si illuderebbe, e non di poco. Così come la biologia può dirci “qualcosa sull’uomo, mostrarci alcune caratteristiche essenziali, ecc, senza però esaurire tutto lo scibile intorno all’uomo, analogamente anche la conoscenza della morte non può essere ridotta a mera descrizione biologica” (L’accertamento della morte il dibattito Etico. Maria Luisa di Pietro, Paola Parente, Andrea Virdis).

Volendo dunque parlare di “morte cerebrale”, il metodo è imposto dall’oggetto. Questo ho imparato da Don Giussani. Quindi, come scrive il grande cardinale Sgreccia, scomparso in questi giorni, nel suo manuale:

“L’accertamento di morte secondo criteri neurologici, la morte cerebrale,  è legata a parametri biologici, affidati a criteri scientifici e di per sé non  prioritariamente un problema filosofico o teologico. ( E. Sgreccia. Manuale di bioetica. Vol.n. 1, pag. 841, ed. Vita e Pensiero).

In realtà il termine morte cerebrale dovrebbe essere sostituito da: DETERMINAZIONE DI MORTE CON CRITERI NEUROLOGICI” perché di questo si tratta.

I criteri con cui possiamo determinare l’avvenuta morte, possono essere criteri semeiotici, cardiaci o neurologici.

I suddetti criteri consentono di individuare il punto di “non ritorno” che non identifica la morte “cardiaca” o la “morte cerebrale”, ma la morte dell’individuo umano.

La determinazione della morte con criteri semeiotici, e cardiaci muove dalla teoria del “tripode vitale”, in base al quale l’arresto di una delle funzioni vitali – nervosa, respiratoria, cardiocircolatoria – comporta inevitabilmente ed in tempi brevi l’arresto delle altre.

Per dichiarare morto un individuo si accerta quindi l’assenza di attività respiratoria; polsi periferici e centrali; battito cardiaco, risposta a stimoli esterni verbali e dolorosi di forte intensità.

I criteri cardiaci si avvalgono della registrazione dell’ECG per 20 minuti (per la legge italiana), che deve risultare piatta. Questa condizione è da distinguere dall’arresto cardiaco che può anche essere superato con manovre rianimatorie.

I più recenti criteri neurologici per l’accertamento di morte sono stati definiti per la prima volta dalla commissione di Harvard nel 1968, questo sicuramente ha dato un grosso impulso allo sviluppo dei trapianti di organi. Vi erano stati il trapianto di cuore di Bernard nel 1967 e in Europa del Prof. Cabrol pochi mesi prima della dichiarazione di Harvard. Ma, in realtà va riconosciuto che lo standard neurologico definito dalla commissione di Harvard nasceva dalle conoscenze scientifiche acquisite.

Vi erano anche stati gli studi di  P. Mollaret e Goulon, sul coma depassè e gli studi di M. Jouvet sulla morte del sistema nervoso. (Coma depasse’. Memoire preliminarie Revue Neurologique 1959,101;3-15).

Inoltre, due importanti convegni che si erano svolti in America su questi argomenti hanno segnato il passo, quello della Ciba Foundation Neuropsycology 1966 e quello dell’American College of Physicians 1967 .

Molto importanti inoltre furono gli studi sull’Elettroencefalogramma (EEG). Infatti, l’American EEG Society aveva già nominato nel 1960 un comitato per definire i criteri EEG per la determinazione della morte cerebrale.

Si deve invece  riconoscere l’errore di impostazione della commissione di Harvard, presente, tra l’altro nella prima legge italiana 644/1975,  che ha inserito i criteri neurologici legati alla donazione di organi.

I criteri di  Harvard non sono – però –  funzionali all’esigenza di reperire organi al fine di un trapianto, ma esplicitano le conoscenze raggiunte nel mondo scientifico, soprattutto in seguito al diffondersi delle manovre rianimatorie, per la necessità di dimostrare la morte nei pazienti in cui le funzioni vitali sono sostenute artificialmente (nel  1952 il danese Bjorn Ibsen rese possibile la permanenza di un’attività cardiaca efficiente in individui in coma con lesioni cerebrali irreversibili, mediante l’invenzione del primo respiratore artificiale).

I criteri di accertamento di morte devono  essere sempre indipendenti e separati da una eventuale donazione e trapianto degli organi. Questo è un punto determinante,  presente nell’ultima legge italiana 578/1993, con le collegate linee guida scientifiche, e i successivi Decreti Ministeriali. Esso stabilisce infatti che le procedure di determinazione ed accertamento di morte con standard cardiaco o neurologico, devono essere  assolutamente indipendenti dalle attività di prelievo e trapianto.

L’accertamento è obbligatorio in ogni paziente, indipendentemente dalla autorizzazione al trapianto di organi.  Solo una chiarezza sui criteri di accertamento della morte, e quindi la certezza della morte, la “dead donor rule”, è il presupposto fondamentale alla base della donazione di organi accettata e favorita da tutte le istituzioni sociali, mediche e religiose.

I criteri neurologici di accertamento di morte sono stati poi confermati e ribaditi dai successivi studi, e  non si sono sostanzialmente modificati in questi cinquanta anni di applicazione in centinaia di migliaia di decessi in quasi tutti i paesi del mondo.( Wijdicks 2002,  Haupt and Rudolf 1999).

In Italia con  la Legge n. 578 del 29/12/1993 ” Norme per accertamento e certificazione di morte” e  il seguente  DMS del 22 Agosto 1994 n. 582 sono state ridefinite le norme e il regolamento recante le modalità per l’accertamento e la certificazione  di morte.

L’ultima  revisione con DMS del 11 Aprile 2008(Aggiornamento del decreto 22 Agosto 1994 n. 582 relativo al “Regolamento recante le modalità per l’accertamento e la certificazione di morte”) ha introdotto e validato nuove tecnologie, per documentare l’assenza di flusso cerebrale neuroradiologiche, ultrasonografiche, di medicina nucleare e neurofisiopatologiche (in bambini di età inferiore a 1 anno,  in presenza di farmaci depressori sul sistema nervoso centrale, ipotermia, alterazioni endocrino-metaboliche, ipotensione sistemica pregressa, diagnosi eziopatogenica non certa, riflessi del tronco non esplorabili ed EEG non eseguibile) che integrano il tradizionale esame EEG. Inoltre, è stato previsto, in modo più approfondito e consono alle odierne conoscenze scientifiche, l’esecuzione dell’esame clinico-neurologico. È stato stabilito, non inferiore a 6 ore, il tempo di osservazione e considerato l’eventuale influsso di farmaci sulle reazioni cerebrali. Tutto ciò documenta l’estremo rigore dalla legge italiana  sull’accertamento e la certificazione di morte cerebrale.

La prima osservazione fondamentale è che per poter predisporre la diagnosi di morte con lo standard neurologico,  o morte cerebrale, occorre che la lesione che porta a morte il paziente, interessi tutto il sistema nervoso centrale, “morte cerebrale totale”,  o “morte encefalica” (dal greco ”encephalon: dentro la  testa”, cioè l’insieme delle parti del Sistema Nervoso Centrale contenute nella scatola cranica) con cessazione totale ed irreversibile di ogni attività encefalica: cervello, cervelletto e tronco encefalico.

I criteri neurologici per l’accertamento della morte sono quindi utilizzabili solo quando è nota la causa del danno cerebrale, danno organicoirreparabile, sviluppatosi acutamente (l’eziologia ed entità della lesione devono essere documentate da indagini strumentali, TAC o RMN), che ha provocato uno stato di coma irreversibile, dove il supporto artificiale è avvenuto in tempo a prevenire o a trattare l’arresto cardiaco anossico.

La morte encefalica è una situazione non naturalecreata dalla possibilità di ventilazione artificiale in soggetti con lesioni cerebrali così estese e irreversibili da causare distruzione di tutto l’encefalo. In tali pazienti, pur mantenuti in ventilazione meccanica e supporto artificiale, in realtà, la distruzione cerebrale ha già provocato la morte, che si concretizzerà poi nell’arresto cardiocircolatorio nel momento in cui verrà a cessare il supporto ventilatorio.

Prerequisiti:

–  documentare l’eziologia e l’entità della lesione cerebrale

–   escludere ogni fattore, che possa alterare l’indagine clinico-strumentale come per esempio l’effetto dei farmaci sul Sistema Nervoso Centrale, (come barbiturici,curarici, atropina ecc..)

–  assicurarsi dell’omeostasi sistemica, escludendo situazioni di ipotermia o altre gravi alterazioni endocrino- metaboliche o alterazioni tossiche .

Criteri clinici:

– Assenza di stato di coscienza e vigilanza

– Assenza di reazione agli stimoli dolorifici e dei riflessi che partono direttamente dal  Tronco encefalico

– Assenza di attività respiratoria spontanea

Criteri strumentali:

– EEG piatto (assenza di attività elettrica cerebrale), per legge sono stabilite le modalità tecniche di esecuzione dell’EEG

– Test di flusso cerebrale (nei casi previsti dalla legge)  

L’accertamento di morte con criteri neurologici si pone quando si ha la certezza della diagnosi clinico-strumentale della lesione  cerebrale insieme all’indagine clinica che documenta l’assenza di tutte le funzioni dell’encefalo(vigilanza, coscienza, l’assenza dei riflessi e delle funzioni del tronco encefalico, assenza di ogni tipo di reazione sia motoria che vegetativa agli stimoli nel territorio di innervazione dei nervi cranici, compresa l’assenza del respiro spontaneo, attraverso il test dell’apnea) dopo aver eseguito EEG,  o indagini strumentali che documentano assenza di flusso cerebrale ( in bambini di età inferiore a 1 anno,  in presenza di farmaci depressori sul sistema nervoso centrale , ipotermia,alterazioni endocrino-metaboliche, ipotensione sistemica pregressa, diagnosi eziopatogenica non certa, riflessi del tronco non esplorabili ed EEG non eseguibile).

La Legislazione Italiana prevede inoltre che nessun singolo medico può dichiarare la morte con criteri neurologici di un individuo. Quando vengono identificati i criteri neurologici clinici e strumentali di morte, il medico è tenuto  ad informare la Direzione Sanitaria, che convoca un’apposita Commissione composta da 3 specialisti, neurologo, medico legale e anestesista e rianimatore.

Il collegio in modo unanime, verifica l’assenza di fattori potenzialmente confondenti, accerta per almeno 6 ore la persistenza dello standard neurologico clinico (stato di incoscienza, assenza di respirazione spontanea, assenza dei riflessi dei nervi cranici e  assenza di attività elettrica cerebrale) con una valutazione del paziente: all’inizio ed al termine di tale periodo.

Al termine di tale valutazione, che ha il significato di rigorosa garanzia, viene certificata la morte. L’ora del decesso è quella in cui si è determinato lo standard neurologico ed ha avuto inizio il periodo di osservazione.

L’eventuale donazione di organi avverrà solo successivamente dopo verifica della volontà espressa in vita o del non diniego dei familiari.

Un dato clinico fondamentale va tenuto presente: l’irreversibilità di questo stato di morte. La necrosi completa della corteccia e  del tronco encefalico (danno cerebrale documentato dai reperti autoptici dopo poche ore, necrosi delle cellule cerebrali dopo liberazione di enzimi litici  con conseguente distruzione totale del parenchima) implica la totale e irreversibile perdita del respiro spontaneo e della coscienza. Questi due dati differenziano in modo ritenuto esatto, affidabile ed accurato, qualsiasi altra situazione clinica di “lesione cerebrale”, anche la più grave e compromessa che non sia totale ed irreversibile.

Sebbene le neuroscienze facciano progressi, nessuno di questi consente oggi di intravedere la possibilità di tornare indietro dopo il passaggio specifico della cessazione di tutte le funzioni dell’encefalo. (Determinazione di morte con standard neurologico. Centro Nazionale Trapianti).

La morte si identifica con la cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo; in questa definizione sono importanti tutte le singole parole e segnatamente “irreversibile” e “tutte”.

Questi criteri diagnostici precisi ci permettono di distinguere la morte cerebrale da altre condizioni come:

– “stato vegetativo o quello di minima coscienza”, spesso associato o confuso con la morte cerebrale. In realtà, la differenza clinica è nel mantenimento, sia pure a volte alterato, delle funzioni del tronco encefalico, in particolare la capacità di veglia  e di respiro spontaneo.

– Il coma, abolizione dello stato di veglia e coscienza con mantenimento del respiro spontaneo o almeno una parziale attività del tronco encefalico, è  una condizione transitoria che può evolvere, grazie al trattamento, in recupero dello stato di veglia e coscienza nella maggior parte dei casi, o recupero dello stato di veglia e non quello di coscienza (stato vegetativo) o recupero  in minima parte e difficilmente apprezzabile (stato di minima coscienza).

– Locked-in-syndrome, condizione caratterizzata da lesione del ponte (porzione del Tronco encefalico), che risparmia le vie della sensibilità somatica, alcune porzioni del tronco encefalico responsabili dello stato di vigilanza e alcuni raggruppamenti mesencefalici.  Vengono invece interrotte le vie cortico-bulbari e cortico-spinali, privando il paziente della capacità di rispondere in qualsiasi modo agli stimoli, eccetto movimenti con lo sguardo verticale o con l’ammiccamento che consentono di stabilire l’unica comunicazione con il mondo esterno.

– Morte corticale stato di lesione della corteccia cerebrale, al verificarsi della quale rimangono integri i centri del palencefalo e permane attiva la capacità di regolazione centrale delle funzioni omeostatiche e vegetative, compresa la respirazione autonoma.

– Morte del tronco encefalico, stato che consegue alla perdita definitiva e totale di tutte le funzioni del tronco encefalico con perdita irreversibile della coscienza, della vigilanza, del respiro e delle altre funzioni vegetative.

Avere chiari questi punti, permette di definire la morte del piccolo Alfie, Charlie e forse tanti altri bambini  come atti eutanasici.

Questo risulta molto evidente per il piccolo Alfie, il quale ha continuato a respirare da solo anche dopo che gli è stata staccata la “spina”…..Ma ciò vale  anche per il piccolo Charlie. Il respiratore si stacca solo in presenza di morte cerebrale accertata con criteri neurologici, altrimenti è un atto eutanasico.

La legge inglese si differenzia solo formalmente da quella italiana,  perché ha adottato una definizione di morte che si identifica con la perdita irreversibile della capacità di coscienza e di respiro. Dal punto di vista fisiopatologico, ciò si verifica con la  necrosi  totale del tronco encefalico (nella legge italiana, invece, di parla di necrosi totale dell’encefalo. Questa, comunque, erano condizioni non presenti sia in Charlie sia in Alfie).

Nel 1980  la President’s Commission for Study of  Ethical Problems in Medicine and Biomedical and Behavioral Reserch, pubblicò un documento, Uniform Determination of Death (UDDA). In questo Documento, la commissione  conclude definendo la morte: “come la perdita totale e irreversibile della capacità di un organismo di mantenere autonomamente la propria unità funzionaleIl momento in cui il sistema fisiologico dell’organismo cessa di costituire un tutto integrato”.

La vita, da un punto di vista biologico-scientifico,  non è definita dal funzionamento di un singolo organo, né il cuore, né il cervello, ma dall’autoregolazione omeostatica del corpo umano, dalla capacità di integrare e coordinare tutte le funzioni vitali: questo è ciò che rende vitale un corpo umano.

Ma è  l’encefalo l’organo che esprime in modo esclusivo la capacità di integrazione di tutti gli organi e  sostiene tutte le funzioni dell’organismo?

L’encefalo non rappresenta  il sistema unico di integrazione dell’organismo, con una valenza del tutto o nulla. (Centro nazionale Trapianti . Determinazione di morte con standard neurologico. )

In realtà, come documentato in letteratura, in particolare dai lavori di Shewmon e dall’esperienza clinica nelle terapie intensive, le tecniche di medicina intensiva possono supplire anche per mesi alla perdita delle funzioni encefaliche, nell’ambito del supporto ventilatorio e circolatorio.

In realtà, il mantenimento della funzionalità del sistema nervoso centrale al di sotto del forame occipitale, nel midollo spinale, può esplicitare una minima capacità di integrazione, e dopo un iniziale shock spinale, i riflessi midollari contribuiscono a ristabilire un livello minimo di integrazione circolatoria e di reattività viscero-viscerale e motoria (Riflessi spinali), di metabolismo in condizioni di perdita della regolazione della temperatura corporea.  A ciò si aggiungono funzioni non strettamente dipendenti dall’encefalo, come la risposta immunitaria, quella infiammatoria, bioumorale, funzioni sostenute grazie al supporto artificiale respiratorio e circolatorio, tanto da permettere  in donne gravide una adeguata maturazione del feto prima del parto, anche se per tempi molto brevi (Determinazione di morte con standard neurologico.  Centro Nazionale Trapianti).

Le tecniche mediche intensive (supporto ventilatorio e circolatorio) possano quindi supplire  alla perdita delle funzioni encefaliche. Inoltre, diverse funzioni del nostro organismo hanno una propria autonomia e relazione e interazione anche a prescindere dal funzionamento dell’encefalo. Ciò  che si rileva è che la cessazione delle funzioni ‘critiche’ dell’encefalo  porta alla morte della persona, ossia della cessazione delle funzioni che garantiscono il coordinamento e quindi la possibilità di integrazione fra i vari organi.

Anzi, se il supporto tecnico è adeguato, è possibile mantenere per giorni alcuni organi (es. il cuore) isolati dal corpo in un sistema di perfusione. Questa stessa interazione la potremmo addirittura trovare fuori del corpo, se si mantenesse un collegamento tra vari organi ancora funzionanti (…). Questa interazione non avrebbe niente a che fare con il concetto di integrazione di un organismo in quanto unità vivente. (I criteri di accertamento della morte. CNB 24 giugno 2010).

Se il cervello svolge un ruolo di centralina dell’organismo, questo non significa che l’uomo possa identificarsi con esso: infatti quando la morte veniva accertata con la cessazione di attività cardiaca e polmonare, l’uomo non veniva identificato con il cuore o con i polmoni. ( Card. E. Sgreccia Manuale di Bioetica. Ed Vita e Pensiero).

L’attenzione portata sull’encefalo per identificare lo stato cadaverico non può né vuole preludere all’utilizzo di categorie neurologiche per identificare la persona nascente o per risolvere qualsivoglia controversia bioetica di altra natura. Le preoccupazioni per queste e altre questioni non possono spingere a negare l’evidenza che un encefalo che ha perduto irreversibilmente tutte le proprie funzioni identifica senza alcun dubbio un cadavere.

Solo una lettura dei fenomeni scientificamente osservati per oltre mezzo secolo può spegnere un dibattito che viene acceso non dal dubbio che il cadavere qui ed ora sia tale, ma dalle temute o auspicate conseguenze di improprie traslazioni di concetti dal termine della vita al suo inizio e viceversa.

Sicuramente se la determinazione di morte con standard neurologico, con il conseguente  riconoscimento giuridico, per ipotesi fosse abolito, un drammatico dilemma verrebbe a ricrearsi nelle rianimazioni come avvenne negli anni 60, aggravato paradossalmente dalla migliorata capacità di mantenere il circolo per tempi anche prolungati, con aumento sicuramente di situazioni di conflitto, di incertezza sia tra i medici intensivisti e i familiari, e si verificherebbe una probabile continua conflittualità giudiziaria, politica e sociale.

il punto fondamentale è che l’accertamento della morte con criteri  neurologici (la cosiddetta morte cerebrale) deve essere eseguito in modo completo, sistematico, rigoroso e collegiale.

Il 29 agosto del 2000 San Giovanni Paolo II afferma: “Si può affermare che il recente criterio di accertamento della morte sopra menzionato, cioè la cessazione totale ed irreversibile di ogni attività encefalica, se applicato scrupolosamente, non appare in contrasto con gli elementi essenziali di una corretta concezione antropologica”.

Con queste chiare ed inequivocabili parole,  San Giovanni Paolo II ha definitivamente approvato la correttezza antropologica e la eticità dell’impiego dei criteri neurologici di accertamento della morte.

Il problema, come evidenziato dalle parole di san Giovanni Paolo II,  NON SONO I CRITERI come tali (ritenuti antropologicamente corretti ed eticamente accettabili dal Papa e dal Magistero di allora e successivo), bensì una loro eventuale SCORRETTA APPLICAZIONE (il Papa parla di “applicazione scrupolosa” che deve essere osservata) che può portare ad abusi.

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